I Trattati

Sala d'Arme Achille Marozzo

Istituto per lo Studio della Scherma Antica

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Maestri e Trattati

Filippo Vadi

TRASCRIZIONE DEL TESTO

Estratto da "L'arte cavalleresca del combattimento - il De arte gladiatoria dimicandi di Filippo Vadi",
a cura di M. Rubboli, L. Cesari, nelle librerie da febbraio 2001.
Pubblicazione a cura della casa editrice "IL CERCHIO " di Rimini.

Storia e caratteristiche principali del trattato di Filippo Vadi

Il trattato "De arte gladiatoria dimicandi", scritto tra il 1482 e il 1487 da Filippo Vadi, un maestro d'armi pisano, e da lui dedicato al Duca Guidubaldo di Urbino, è oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma.
Guidubaldo divenne Duca nel 1482, e perciò il testo non può essere più antico.
Il trattato figurava poi nell'indice della biblioteca ducale di Urbino, fatto eseguire appunto tra il 1482 e il 1487 da Odasio, precettore del giovane Duca, al numero 654, e non può essere quindi posteriore al 1487.
Non abbiamo notizia certa della presenza di Vadi alla corte di Urbino, ma la dedica al Duca e la presenza del codice nella biblioteca ducale ci devono far pensare che Vadi abbia vissuto almeno per qualche tempo nella città marchigiana, e abbia presentato i propri insegnamenti a Guidubaldo.
Sempre nel catalogo della biblioteca si trova l'annotazione che il testo non fu più trovato dopo la conquista della città da parte di Cesare Borgia nel 1502.
Nulla conosciamo delle successive vicissitudini del codice, fino all'acquisto da parte della Biblioteca Nazionale.
Ci piace pensare che il testo abbia suscitato la curiosità del bellicoso Valentino o di qualche suo condottiero, e che per questo sia scomparso dalla biblioteca urbinate.
Una ripubblicazione parziale del trattato di Vadi, commentato (ma non dal punto di vista tecnico), trovò posto nel bel libro di Bascetta (op. cit., vedi Bibliografia), dove si trova la trascrizione di tutta la parte di solo testo, e la riproduzione di solo poche immagini della seconda parte.

Abbiamo detto dunque, che la grande somiglianza fra il trattato del maestro pisano e il Flos Duellatorum ci spinge a pensare che Vadi abbia avuto in qualche modo accesso agli insegnamenti esposti da Maestro Fiore più di settant'anni prima.
Tuttavia il testo del nostro autore è ben diverso da una semplice ripetizione di insegnamenti tradizionali, e sotto molti aspetti prefigura il sorgere di quella scuola prettamente italiana che nel Rinascimento surclassò la vecchia scuola tedesca.
Una novità introdotta per la prima volta da Filippo Vadi, per quanto ne sappiamo, è la parte del trattato composta di solo testo, senza illustrazioni, soluzione che avrà molta fortuna nel secolo successivo.
Infatti nei trattati rinascimentali il testo viene ad essere quasi sempre la parte più consistente e più importante per la comprensione delle tecniche e dei principi esposti.
Soprattutto nei primi trattati del XVI secolo, quelli della Scuola Bolognese, le illustrazioni mancano del tutto o hanno una funzione di mero supporto del testo.
Nel primo trattato del secolo, quello di Pietro Monte, pubblicato nel 1509 ma risalente alla fine del Quattrocento, sempre in ambiente urbinate, non vi sono affatto illustrazioni.
Lo stesso possiamo dire per il trattato da Antonio Manciolino (si trovano giusto un paio di disegni decorativi, senza relazione alcuna con le tecniche) e per il trattato di Achille Marozzo (sono presenti illustrazioni solo delle guardie e delle armi il cui uso è trattato nel testo).
La parte di testo dell' "Arte Gladiatoria Dimicandi" è articolata in una parte introduttiva in prosa e in 16 capitoli in forma poetica (prima in terza rima, poi in distici).
Nell'introduzione in prosa Vadi, dopo aver dedicato il trattato al Duca Guidubaldo, si presenta in modo molto simile a come aveva fatto Fiore dei Liberi, affermando di aver lungamente studiato la scienza del combattimento presso molti maestri, e di aver deciso di dare alla luce un trattato scritto perché l'arte non scompaia, raccomandando di non far pervenire le conoscenze in esso contenute nelle mani di uomini rozzi e ignoranti, ma riservarle invece a gentiluomini e nobili.
Vadi afferma inoltre di aver posto nel trattato solo tecniche efficaci, viste e provate da lui (concetto in apparenza elementare, ma non sempre rispettato in tutte le moderne arti marziali).
La scherma è nata dalla mancanza di armi naturali nella razza umana, che per sopravvivere ha sempre dovuto fare uso della sua unica vera arma: l'intelligenza razionale, della quale la scherma, in quanto scienza esatta, è figlia.
Per questo la conoscenza della scherma permette a un individuo più debole di vincere un avversario anche più allenato e più atletico, perché insegna ad attaccare, difendersi e disarmare l'avversario.
Di seguito Vadi, dopo aver ribadito la sua intenzione di preservare la memoria dell'arte, e il suo lungo iter marziale, esprime l'intenzione di trattare alcuni tipi di armi (lancia, spada a due mani, daga e azza, delle quali solo la spada verrà trattata nella parte testuale, mentre le altre armi verranno prese in esame dal nostro Autore solo nella parte illustrata).
Infine, nuovamente il maestro pisano raccomanda di riservare la divulgazione dell'arte solo a uomini che abbiano la responsabilità di governare lo stato e difendere i deboli.
Importante, e purtroppo molto rara nella storia della scherma (in cui di solito ognuno si considera l'unico depositario della verità) è la dichiarazione che chiude l'introduzione, in cui Vadi concede un permesso preventivo per fare variazioni al testo, aggiungendo e togliendo tecniche, a chi legga il codice e sia esperto nell'arte del combattimento, al cui giudizio il nostro autore si affida.

Il primo capitolo (incipit) tratta dell'appartenenza della scherma al novero delle scienze, quali la geometria, e non al mondo delle arti, paragonandola anche alla musica.
Il secondo capitolo (misura de spada da doi mane) espone la misura che deve avere la spada a due mani, il che è di grande utilità per chi voglia far rivivere la scherma dell'epoca, o anche solo dedicarsi alla rievocazione storica.
Si noti che non ha senso trasformare le misure date da Vadi (per es. la lunghezza della spada che deve andare fino a sotto l'ascella) in misure esatte: le misure della spada devono essere diverse da persona a persona, a seconda del fisico di chi la dovrà usare (tranne in duello, in cui le armi dovranno essere uguali, con la misura scelta dalla parte sfidata).
Segue un capitolo, il terzo (ragion de spada) che tratta dell'utilità della scherma e dei principi etici e pratici che devono guidare lo schermitore: è questo un capitolo chiave dell'opera.
Il capitolo espone diversi consigli e tecniche di "gioco largo" e "gioco stretto", ossia combattimento a lunga distanza e a distanza ravvicinata, per un'analisi approfondita delle quali rimandiamo all'Appendice Tecnica.
La spada, nei primi versi, è definita "arma reale", che va impugnata virilmente, considerazione che si rifà a quanto esposto sull'opportunità di riservare l'arte schermistica ai nobili e ai cavalieri.
Da punto di vista tecnico, si rilevi come l'autore riassuma tutta l'arte nell'incrociare delle spade, ossia nella "parata di croce" che ferma il colpo del nemico, e da cui partono innumerevoli tecniche, e in primis la parata e risposta.
Il concetto viene ripreso più avanti: "gioca de croce e non serai conquiso".
Interessanti, ancora, sono i passi in cui si citano i principi fondamentali di tempo e misura, o dove si afferma che "ingegno ogni possanza sforza" ; (l'ingegno vince qualunque forza).
Nella seconda parte del capitolo si trova una serie di precetti morali ancora più interessanti per un'analisi dei quali rimandiamo al paragrafo 3, tra i quali la proibizione di attaccar briga e combattere contro la giustizia, il rispetto per il maestro, la lealtà verso le autorità legittime ecc.
Dal punto di vista tecnico, segnaliamo che il nostro autore consiglia a chi voglia diventare un esperto spadaccino non solo di imparare, ma anche di fare esperienza di insegnamento, stando sempre attento a liberarsi dai propri errori.
Rammentiamo infine solo quanto il nostro autore afferma a proposito delle virtù intrinseche della nobile arte schermistica, che scaccia dal cuore la viltà e dona allegrezza al cuore per sua propria virtù, e accompagna sempre chi vi si dedica, preservandolo dalla povertà e riportandolo alla luce quando dovesse sentirsi come un lume spento, rivelandosi insomma una fedele compagna sempre presente per i suoi seguaci.
Gli ultimi versi sono dedicati ad un'orgogliosa rivendicazione delle innovazioni portate dal maestro pisano nella scienza del maneggio della spada.
Il capitolo quarto, privo di titolo, è dedicato all'importanza dell'arte della spada e ai vantaggi che offre a chi vi si dedica.
Curiosamente i primi vantaggi offerti dalla pratica della scherma che il nostro autore cita sono di ordine quasi estetico: essa insegna a ben camminare (quindi senso dell'equilibrio, elasticità del passo, buon portamento) e rende l'occhio rapido, ardito e signorile.
Passiamo poi a vantaggi più concreti: si apprende a ben parare, e quindi a difendersi la vita, e infatti molti che non hanno voluto apprendere questa scienza della difesa sono poi morti di morte violenta.
Non c'è maggior bene della vita (concetto questo tipicamente occidentale, alieno ad altre culture marziali), e quindi l'importanza della difesa personale, che può salvare la vita mille volte, è ben superiore a quella di qualunque ricchezza materiale.
Infatti, pur senza cercar briga, è facile trovarsi coinvolti in una disputa che porti a un esito violento, e in questo caso è meglio essere in grado di prevalere sugli altri, e bisogna quindi apprendere la nuova arte inventata da Vadi, e apprendere a misurare i tempi schermistici, al fine di non dare motivo di lagnanze al proprio maestro.
Quando ci si scontra con qualcuno (in duello), si badi che le spade siano uguali, senza dare alcun vantaggio all'avversario.
Segue un altro elenco di virtù che lo schermitore deve sviluppare: buon occhio, sapere, prestezza, forza e cuore.
Nonostante quanto detto prima sull'opportunità che le spade usate in duello siano uguali, il nostro autore ci dice che all'uomo grande conviene usare una spada lunga e a quello piccolo una spada corta.
La forza serve a rompere le guardie, forzandole con violenza, ma l'ingegno può sopperire a questo svantaggio dell'uomo piccolo.
Infatti, chi conosce molti colpi è molto pericoloso, mentre chi poco conosce agisce con grande fatica e svantaggio, e alla fine rimane vinto anche se è più forte.
Di conseguenza, risulta pericoloso rivelare i segreti dell'arte, soprattutto ad estranei.
E' molto pericoloso combattere contro una spada più lunga, per questo bisogna esigere di usare armi uguali.
A queste considerazioni Vadi fa seguire una dichiarazione d'amore esclusivo per la spada a due mani:

"La spada da doi mane sola stimo
e quella adopro a mia bisogna"

Infine, il maestro pisano sconsiglia di combattere contro più avversari, e in caso ci si trovi comunque in questa spiacevole situazione, ci invita ad usare un'arma molto leggera e a non colpire di punta.
Come abbiamo visto, ci troviamo qui davanti ad una miscellanea abbastanza disordinata di preziosi consigli e principi, molti dei quali rivedremo al paragrafo 3.
Il quinto capitolo (de punte e tagli) descrive brevemente i sette colpi fondamentali, che sono simili a quelli di Fiore dei Liberi, pur se alcuni hanno un nome diverso.
L'argomento viene ripreso più estesamente nel capitolo seguente, il sesto (li sette colpi della spada).
Il breve capitolo settimo (de la punta) è dedicato ai colpi di punta, descritti come "velenosi" in quanto molto insidiosi e spesso mortali, mentre l'ottavo (costione di tagli e punte) ci espone una sorta di polemica tra tagli e punte per mostrare quale colpo sia migliore.
Il maestro pisano espone qui più che altro gli svantaggi del colpo di punta: basta qualsiasi debole parata per deviare una punta, al contrario che un colpo di taglio che va sostenuto con forza, se la punta non colpisce perde ogni utilità, non intimorendo più l'avversario, inoltre contro più avversari non è utilizzabile, perché se colpisce e non viene ritirata con grande velocità mette chi la esegue in pericolo di essere ferito da uno degli altri assalitori.
Ci sentiamo quindi di dissentire da un'interpretazione che vuole fare di Vadi un apostolo del colpo di punta in contrapposizione al più "arcaico" Fiore dei Liberi, visto come un paladino del fendente.
Il maestro friulano, infatti, fa ampio uso dei colpi di punta, mentre Vadi ne vede chiaramente anche i limiti e i difetti.
Quello che si può invece sostenere è una maggiore enfasi di Filippo Vadi su colpi rapidi e insidiosi, poco caricati (non solo punte, ma soprattutto i colpi ascendenti di filo falso), rispetto ai tagli forse più potenti del Flos Duellatorum.
E infatti il capitolo si chiude con una nota a favore delle armi leggere a maneggevoli rispetto a quelle pesanti, in particolare, appunto, se si dovessero affrontare più avversari.
Il capitolo nono ci parla "de la croce". Crediamo che si parli qui delle "parate di croce", o "incrosar" che corrispondono all'incrosar nominato sia da Vadi che da Fiore dei Liberi (vedi anche il Glossario dell'Appendice Tecnica), ma potrebbe anche essere possibile che si faccia riferimento alla famiglia di guardie dette appunto "di croce", in cui si tiene la mano sinistra sulla lama della spada, e che possono essere usate per una serie di efficaci parate (si veda ad esempio Pag. 26v del codice, fig. 1: l'accento posto sulla stabilità e affidabilità della croce potrebbe essere visto come un particolare riferimento al "rinforzo" fornito alla parata dalla mano sinistra sulla lama).
Il capitolo decimo (ragione di mezza spada) ci introduce invece al gioco di mezza spada, una delle parti più importanti del gioco largo derivante da un "incrosar" delle lame in cui uno dei contendenti ha attaccato, l'altro ha parato, presumibilmente senza essere arretrato, e i due si ritrovanoa breve distanza l'uno dall'altro, ma non ancora in una presa da gioco stretto.
Qui Maestro Vadi ci mostra alcuni modi per arrivare al gioco di mezza spada, oltre ad indicarci un tipo di passeggio a suo dire innovativo, in cui si piega il ginocchio della gamba che viene portata avanti e si distende la gamba che rimane indietro, come mostrato anche da Marozzo e come nel moderno affondo. Vadi si attribuisce la paternità di questo "passeggiar", e bisogna riconoscere che nel Flos Duellatorum in generale i passi eseguiti sono più brevi, e la gamba posteriore solo in poche illustrazioni risulta distesa (e tuttavia a volte questo si verifica).
Noi sappiamo che per il Fiore i passi erano il "il passare", o passo intero, nel quale si  porta avanti il piede dietro come nel normale camminare, e il "l'acrescer" in cui si avanza col piede che è già davanti . In questo caso il piede dietro segue come nel normale passo di avanzamento della scherma moderna, e non sta fermo come nel suddetto passeggio d el Vadi e nell'affondo moderno.
Una nota tecnica interessante è il consiglio di tirare colpi di molinello (stramazzoni) solamente brevi e davanti al volto, quindi senza mai allontanare troppo la spada dalla linea d'attacco.
Nel capitolo seguente, l'undicesimo (ragion de gioco de spada), che continua il discorso sul combattimento a distanza ravvicinata, si ritrova subito il consiglio di fare le finte brevi, quindi ancora senza allontanare la spada, in modo che si possa riportarla subito a difesa, seguito da varie indicazioni tecniche, tra cui sul passeggio da usare sulle varie parate, e un avvertimento contro i colpi in mezzo tempo (vedi glossario dell'appendice tecnica) che possa tirare l'avversario.
Il capitolo dodicesimo (ragion de' viste de spada) tratta delle finte, in particolare nel gioco di mezza spada. Vadi afferma che le finte servono ad ingannare l'avversario, non lasciandogli comprendere da quale parte si voglia portare effettivamente l'attacco, ma lamenta qui di non poter essere chiaro con la parola come potrebbe essere mostrando fisicamente, con la spada in mano, quello che intende.
Nel capitolo seguente, il tredicesimo (ragione de mezza spada), si continua il discorso sulle tecniche da usare a breve distanza. Si noti l'insistenza sull'uso di colpi di punta o di filo falso da sotto in su, piuttosto che sui tradizionali fendenti.
Alla fine del capitolo si trova la raccomandazione di calcolare sempre il tempo giusto per ogni azione, ricordando uno dei tre principi schermistici fondamentali, appunto quello del tempo.
Il capitolo quattordicesimo (ragion di mezzo tempo de spada) infatti riprende il discorso sul tempo, parlando dei colpi tirati in mezzo tempo (colpi portati su attacco dell'avversario, spesso sul braccio o sulla mano, prima che l'attacco raggiunga il bersaglio).
Vadi nuovamente lamenta di non poter descrivere in modo chiaro questa azione con le sole parole, senza poterla mostrare fisicamente, e si limita ad insistere sulla velocità che tali colpi devono avere, portati con un rapido movimento del polso, e sulla necessità che siano effettuati con la giusta misura (e qui ritroviamo un altro dei principi fondamentali della scherma, appunto la misura).
In effetti nei colpi in mezzo tempo è essenziale riuscire a colpire l'avversario ad un bersaglio avanzato appena il bersaglio viene portato avanti dall'avversario ed entra quindi in misura.
Se il colpo in mezzo tempo fosse tirato fuori misura sarebbe inutile, in quanto non colpirebbe, mentre se fosse tirato quando l'attacco del nemico fosse ormai troppo vicino, si correrebbe il rischio di essere comunque colpiti, in quanto l'attacco potrebbe arrivare comunque a segno invece che essere bloccato sul nascere, e non si avrebbe il tempo di andare a parare o di schivare portandosi indietro.
Nella seconda parte del capitolo Vadi esalta come il miglior gioiello dell'arte una misteriosa azione chiamata la "volarica", di cui possiamo solo dedurre alcune caratteristiche.
Sicuramente è un colpo alla testa, in quanto "rompe con bon filo l'altrui cervello", e dovrebbe essere un colpo in mezzo tempo, in quanto è inserita in questo capitolo, infine para e ferisce allo stesso tempo.
Il capitolo quindicesimo (ragion di spada contra la rota) ci insegna a reagire ad un avversario che attacchi con un molinello di colpi ascendenti. Nella seconda parte del capitolo troviamo invece una tecnica offensiva contro un avversario che indugi nelle guardia chiamata "porta di ferro".
Siamo infine giunti all'ultimo capitolo, intitolato "ammaestramento di spada", in cui si ritovano riassunti i principi schermistici essenziali (non solo della scherma di Vadi, ma della scherma razionale nel suo complesso) che abbiamo trovato negli altri capitoli, magari applicati in singole tecniche.
Prima di tutto l'attenzione è rivolta alla difesa di sé, i quel sommo bene che è la propria vita: la spada deve essere soprattutto un grande scudo (un targone) che copra tutto lo schermitore.
Quindi la spada non deve mai allontanarsi troppo dal corpo che deve proteggere, né "facendo guardie né ferir", quindi né le posizioni di guardia né i colpi sferrati in combattimento devono portare la spada così lontano da non poter accorrere in tempo alla difesa.
Di conseguenza, ma anche per avere maggiori possibilità di colpire, è bene che il percorso della spada sia il più breve possibile.
Inoltre è bene che la punta della spada sia sempre rivolta verso l'avversario, e in particolare verso il suo viso (per motivi di psicologia del combattimento: una punta al viso terrorizza più di una al corpo).
Tutte le tecniche di combattimento saranno eseguite quindi con la spada davanti a sé, tra sé e l'avversario, e i colpi portati con poco caricamento, come già indicato al capitolo X.
In effetti un rapido esame delle guardie di Filippo Vadi, paragonate per esempio a quelle del Flos Duellatorum, ci permette di verificare che la caratteristica delle guardie di Vadi è di avere la punta molto più rivolta avanti, con la spada tenuta sempre tra sé e l'avversario.
L'ultimo consiglio, con cui il maestro pisano si congeda dal lettore, è quello di usare spesso colpi in mezzo tempo, fermando sul nascere gli attacchi dell'avversario con brevi colpi alle mani.

Si noti che nel trattato di Vadi la parte di testo tratta della scherma in generale o del maneggio della spada a due mani, trascurando la trattazione di ogni altra arma.
Vedremo come altre armi siano più brevemente riprese nella seconda parte del testo, quella illustrata.
Tuttavia, è evidente come Vadi privilegi nettamente l'insegnamento della spada a due mani sulle altre armi, che infatti vengono ad avere uno spazio molto ridotto o scompaiono del tutto, come scompaiono anche la lotta e il combattimento a cavallo.
In pratica l'unica arma che viene trattata con qualche attenzione oltre alla spada a due mani è la daga, anche nella variante della difesa personale a mani nude contro un attacco di daga (disciplina che nelle corti del tempo poteva risultare molto utile).
Non possiamo non sottolineare come questo si possa considerare indice di una tendenza che, nel tempo e con qualche eccezione, causerà una metamorfosi nel marzialista italiano dal bellicoso ed eclettico cavaliere di Fiore dei Liberi (che maneggia ogni tipo di armi sia a piedi che a cavallo, lotta a mani nude, si difende con la spada contro la daga e viceversa, combatte con i bastoni che si trova ad avere...) fino al maestro di scherma specializzato in uno o due tipi di combattimento (nel tardo Rinascimento di solito spada sola o spada e daga, a volte spada e cappa).
La seconda parte del trattato ha invece una struttura più tradizionale, con le varie tecniche marziali illustrate mediante disegni e una breve glossa esplicativa di un paio di versi, in rima, come nella tradizione tedesca che va dal manoscritto I33 al Fechtbuch di Talhofer, solo per citarne alcuni, tradizione ripresa in Italia da Fiore dei Liberi e in parte, appunto, dal nostro autore.
Si è ipotizzato che la forma poetica dei pochi versi di testo che accompagnano le illustrazioni nel Flos Duellatorum e nel trattato di Vadi possa indicare che le spiegazioni delle tecniche venissero imparate a memoria, e magari recitate durante la dimostrazione delle tecniche stesse, che erano dirette ad un pubblico in gran parte analfabeta.
A favore di questa ipotesi, si può notare come molti dei versi siano simili in Vadi e in Fiore dei Liberi (in particolare nella versione Pisani Dossi).
D'altro canto, il testo di alcuni dei versi (sia del Vadi sia del Flos Duellatorum codice Pisani Dossi) è in realtà ben poco utile alla comprensione della tecnica che accompagna, e difficilmente potrebbe aiutare a ricordarla.
Inoltre, Fiore dei Liberi afferma in modo molto chiaro che non si possono conoscere e ricordare molte tecniche senza un libro, e quindi ogni buon "scholar" e "magistro" deve possedere un libro.
Tuttavia, se poteva essere così alla Corte di Ferrara ai tempi di maestro Fiore (e ancor più presso la splendida Corte di Urbino dei tempi di Vadi), non necessariamente era così anche in altri luoghi, o per le generazioni precedenti.
Si può ipotizzare che alcuni "libri" fossero composti solo da disegni (in molti trattati tedeschi il testo è anche più ridotto che in Fiore), e che i maestri insegnassero versi da imparare a memoria per accompagnare ogni disegno.
In fin dei conti, la ritmica e la rima, in generale, nascono anche per aiutare la memorizzazione, e quindi l'ipotesi in esame non è certo peregrina.
Rispetto al Flos duellatorum si può subito notare come l'abbigliamento e le armature dei combattenti di Vadi siamo più tardi, tipici della seconda metà del XV secolo, riflettendo le variazioni intervenute nel costume e nell'armamento in tre quarti di secolo.
Questo non ci aiuta certo nella datazione, che come abbiamo visto risulta in modo molto più preciso da altri dati a nostra disposizione, ma è comunque una conferma.
Anche dal punto di vista tecnico, vi sono evidenti somiglianze con il Flos Duellatorum, ma anche aspetti che accomunano Vadi ai maestri successivi: la lotta è trascurata, mentre la maggior parte del trattato è dedicata solo alla spada e alla daga, le guardie non portano mai la punta della spada lontano dalla linea d'attacco, mentre Fiore dei Liberi pare caricare maggiormente i colpi, e così via.
In particolare Maestro Fiore quasi sempre viene alle prese di mezza spada dopo un parata in croce , mentre Vadi e Marozzo, spesso si avvicinano con un colpo di filo falso o con un colpo da l basso e d entrambi usano molto spesso una finta per aprire la guardia avversaria ed entrare in presa .
La prima illustrazione che troviamo, a pag. 15r del codice, è un uomo a figura intera, che tiene una spada a due mani in posizione di riposo (la stessa posizione in cui vedremo raffigurato Filippo Vadi in persona, alla pagina seguente), con diverse figure simboliche intorno.
La raffigurazione ricorda quella a Pag. 17A del Flos Duellatorum (manoscritto Pisani-Dossi), in cui quattro animali simbolizzano le virtù fisiche e morali contrapposte che lo schermitore deve avere: la Forza dell'Elelfante (con una stabile Torre sulla groppa), la Celerità del Tigro (raffigurato in realtà come un levriero che porta una Freccia), l'Audacia del Lione (che mostra il suo Cuore valoroso) e la Prudenza del Lovo Cervino (raffigurato come un felino maculato, che tiene un Compasso, simbolo della capacità di calcolo razionale).
Notare che troviamo qui la stessa dicotomia di virtù che si ritrova nella "Chanson de Roland", tra la "prouesse" di Rolando e la "sagesse" del suo camerata Olivier.
Tuttavia, Vadi dà i suoi simboli un significato più concreto e legato a questioni più tecnicamente marziali, come esamineremo ora in dettaglio dato il particolare interesse che questa illustrazione riveste a parer nostro.
Sopra la testa dello schermitore vediamo una figura a forma di stella che scopriamo essere un compasso, che ancora una volta simbolizza il calcolo razionale del tempo e della distanza che deve guidare ogni azione:

"Io sono un sexto che fo partimenti
O scrimitore ascolta mia ragione
Cusì misura el tempo simelmente."

Più in basso, a sinistra, troviamo al posto del cuore un occhio, che simbolizza il fatto che il cuore non deve solo essere ardimentoso, ma anche attento e prudentemente pieno di risorse (ritroviamo quindi qui "audacia et prudentia"):

"L'ochio col cor vole star atento
Ardito e pieno di providimento".

A questo punto dalle virtù della mente e del cuore passiamo agli arti, che tali virtù devono concretizzare in un'azione fisica.
Sopra la spalla destra vediamo infatti la testa di un orso, e proprio come un orso che attacca la spalla deve girare:

"Il natural de l'orso si è el girare
In qua in là in su in giù andare
Cusì conviene che tua spalla facia
Poii la tua spada fa che metti in caccia."

Spinta dalla spalla deve poi agire la mano destra, simile ad un serpente (ma è invece un drago ad essere raffigurato graficamente), che deve essere tanto ardita nell'attaccare quanto prudente nel non esporsi e non allontanare troppo la spada dal corpo, tenendola sempre pronta a tornare in difesa:

"La man dirita vol eser prudente
Ardita e mortal cum un serpente"

Si noti che si ritrovano qui le virtù contrapposte di prudenza e ardimento.
Diversa è la funzione dell'arto sinistro, dalla cui spalla vediamo spuntare un montone, pronto a scontrarsi con ogni attacco del nemico:

"Io so un muntone e sto sempre a mirare
Che per natura sempre voglio cozare
Così convien tuo taglio sia inginioso
Sempre parar quando serà resposo".

Ed eccoci così giunti alla mano sinistra, che deve essere veloce come un levriero, allo scopo di essere usata per le prese e per afferrare la lama della propria spada ed eseguire così tecniche di gioco stretto (per es. si vedano quelle raffigurate a Pag. 18r fig. 2 e Pag. 20v Fig. 1 e 2):

"Con la man stanca la spada ò per punta
Per far ferire d'ezza quando serà giunta
E se tu voi sto ferire sia intero
Fa che sia presto como levorero."

Ed eccoci quindi arrivati agli arti inferiori, dove troviamo utilissime indicazioni su quale fosse il tipo di passeggio usato dal nostro maestro toscano.
A livello delle ginocchia troviamo raffigurato un paio di chiavi, con glosse sia a destra che a sinistra:

"E chi queste chiave cum seco non averà
A questo giuoco poca guerra farà."
"Le gambe chiave se po' ben diri
Per che li ti serra e anche ti po' aprire"

Quindi le gambe si apriranno e chiuderanno variando la distanza e la misura.
Ma venendo invece ai piedi, vediamo che accanto al piede destro è raffigurato un sole, e come il sole il piede destro spesso deve tornare, girando, al luogo da dove è partito (per esempio per tornare fuori misura subito dopo aver portato un attacco):

"Tu vedi el sol che fa gran giramento
E donde el nasce fa suo tornamento
Il pé com el sol va convien che torni
Se voii ch'el giuoco toa persona adorni."

Il piede sinistro invece, specialmente se rimane arretrato rispetto al destro come è generalmente consigliabile durante un'azione offensiva, deve rimanere fermo e dare stabilità, come una sicura fortificazione:

"El pié stanco ferma senza paura
Como rocha fa che sia costante
E poii la tua persona serà tuta sicura."

Tra un piede e l'altro è raffigurata, infine, una ruota, che ci introduce a un tipo di passeggio diverso, circolare, che il nostro autore consiglia soprattutto in chiave difensiva:

"Quandi i pié o l'uno o l'altro fa molesta
Como rota da molin dia volta presta
Bixogna esser il cor providitore
C(he - testo abraso -) luj s'aspetta vergogna e l'onore."

La figura seguente ci mostra i sette colpi della spada, identici a quelli di Fiore dei Liberi, tranne per il fatto che i Sotani del maestro friulano diventano Rota, mentre i Mezani diventano Volante.
Persino i versi che accompagnano l'illustrazione sono molto simili.
Vadi ci tiene però a sottolineare che non ha potuto raffigurare colpi di importanza fondamentale quali i colpi in mezzo tempo.
Comunque,  sappiamo dal testo che molti colpi che nel Flos Duellatorum vengono effettuati con il filo dritto , qui vengono fatti col filo falso della lama .
Di seguito troviamo il ritratto di Filippo Vadi, un uomo atletico vestito di nero, seguito dalle 12 guardie di spada a due mani (a pag. 16 e 17 del codice).
Molte di queste guardie hanno lo stesso nome e/o sono identiche a quelle di Fiore dei Liberi, altre sono nuove, ma appare evidente che deve esistere una stretta relazione tra i due.
Per un'analisi più puntuale ed approfondita rimandiamo all'Appendice Tecnica, mentre basti qui indicare che la principale differenza tra i due autori risiede nel fatto che mentre Maestro Fiore utilizza guardie che permettono un ampio caricamento del colpo, Vadi adotta invece guardie molto "chiuse", con la punta della spada mai lontana dalla linea di attacco, coerentemente con i principi schermistici che adotta.
Alle dodici guardie seguono venticinque tecniche di spada a due mani in gioco stretto.
Anche qui è evidente la somiglianza, e a volte l'identità, tra queste tecniche e quelle del Maestro friulano.
Nel gioco stretto le tecniche usate da Vadi appartengono pienamente alla tradizione, non si notano spunti di innovazione analoghi a quelli riscontrati nella parte solo testuale del trattato, e nel gioco largo.
Tuttavia non si può non notare che mentre nel Flos Duellatorum le tecniche sono esposte in un preciso ordine (da ogni "incrosar" discendono le tecniche seguenti), nel trattato di Vadi le tecniche di spada a due mani sono esposte in ordine sparso, senza mostrare la posizione di partenza, rendendo quindi più difficile l'interpretazione.
Fortunatamente disponiamo dell'apporto, appunto, di quanto mostrato da Fiore dei Liberi.
A pag. 24r del codice troviamo esposte alcune guardie e tecniche di azza, in armatura, seguite da guardie e tecniche di spada in arme, ed infine la raffigurazione di questo particolare tipo di spada a due mani, un'arma creata per il combattimento in armatura.
Anche qui la somiglianza con la scuola del Flos Duellatorum è chiara, e si torna a utilizzare il principio espositivo per cui ad una parata seguono le tecniche che ne derivano.
L'unica differenza degna di nota è un bizzarro tentativo di innovazione esclusivamente terminologica (caso niente affatto raro, peraltro, nella storia della scherma), per quanto riguarda le guardie della spada in arme, in cui la famiglia delle guardie "di croce" viene trasformata nella famiglia delle guardie "di leopardo", forse per contrapporle alle guardie "serpentine".
Curiosamente, tuttavia, nelle guardie di azza si trova la "posta di croce" con il suo nome tradizionale, invece che il nuovo nome "posta di coda di leopardo".
L'innovazione avrà comunque ben poca fortuna, non ritrovandosi in alcun altro testo.
Dopo la spada in arme, a pag. 28, si trova il gioco di lancia, anche questo (ma con la lancia più corta e con qualche altra ambiguità, vedere l'Appendice Tecnica) simile a quello di Fiore dei Liberi.
Finalmente a partire dalla fig. 1 di pag. 29r, il nostro autore comincia a trattare della daga e della difesa senza armi contro la daga, arte a cui dedicherà ampio spazio, e per la quale il trattato di Vadi si rivela molto importante.
La daga usata da Vadi e da Fiore dei Liberi è un'arma sì affilata, ma il cui uso prevalente è senza dubbio di punta, sia con la presa a martello (sopramano) sia con la presa a cacciavite (sottomano).
Anche se a prima vista le tecniche esposte sembrano pienamente tradizionali, con la solita tecnica espositiva per cui ad una presa seguono le tecniche che ne possono derivare, un esame più attento ci rivela alcuni aspetti inediti.
Innanzitutto nel Flos Duellatorum e in generale nei trattati medievali l'attacco principe era sopramano, dall'alto verso il basso con la cosiddetta impugnatura a martello, attacco tipico di sicari o di squilibrati, risolutivo se arriva a segno ma rozzo e prevedibile, e che richiede di avvicinarsi molto alla vittima.
In Vadi ha molto più spazio il più insidioso e schermistico attacco sottomano, con impugnatura "a cacciavite", molto più veloce e che permette di colpire senza avvicinarsi troppo all'avversario.
Di conseguenza anche molte difese vengono ad essere più tipiche della scherma che della lotta.
Vedremo che più tardi, nell'Opera Nova del maestro bolognese Achille Marozzo, sarà ormai definitivo il distacco fra le tradizionali prese di daga, utilizzate contro un attacco deciso, probabilmente portato a tradimento, spesso sopramano (la Prese di daga alla fine del Libro Quinto), e una situazione di duello schermistico al pugnale in cui si tiene l'arma esclusivamente sottomano, e la si usa per ferire l'avversario alle mani o al volto, riducendolo poco a poco all'impotenza senza esporsi troppo, piuttosto che per portare un solo attacco decisivo.
Alla fine di questa sezione (ma ritroveremo ben presto l'arte della daga) Vadi ci mostra l'immagine e la misura della daga.
Seguono una tecnica eseguita con due clave contro un attacco di lancia, simile a quella presente nel Flos Duellatorum, ma più semplice e facile da eseguire, e due immagini che illustrano come disporsi per difendersi con la spada contro un lancio di giavellotto.
Infne, l'opera si chiude con altre tecniche di daga, soprattutto difese contro un sicario che tenga stretta la sua supposta vittima e si accinga a colpirla con la daga (vi si trova anche una difesa con la spada contro il solito sicario armato di daga).
In queste ultime tecniche viene sempre mostrata sia la posizione di partenza sia quella finale, ma ci viene a mancare invece il supporto della glossa in versi.

©2006 Sala d'Arme Achille Marozzo ®