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Sala d'Arme Achille Marozzo

Ancient Fencing Art Italian Institute

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Fencing Research and Study

Fencing History 

Poche persone sono informate del fatto che l'Italia è stata per molti secoli la culla della scherma europea, e in particolare la nostra regione è stata per lungo tempo la sede delle scuole d'armi di gran lunga più prestigiose del continente.

Penso che valga la pena, quindi, di compiere un rapido viaggio ripercorrendo le tappe principali di una disciplina che ha accompagnato le popolazioni e le élite della nostra terra per molto tempo.

Vorrei premettere che fino a tempi molto recenti si intendeva per "scherma" un metodo scientifico per combattere non solo con la spada, ma con qualunque "arma manesca", includendo quindi una vastissima tipologia di armi, dalle armi d'asta quali picche, lance e alabarde fino al pugnale e perfino al semplice bastone.

Le origini della scherma

E' difficile stabilire un punto di inizio, un'origine, per la scienza della scherma, sia in generale sia in particolare in Italia.

E' ragionevole pensare che i primi rudimenti della scherma siano nati insieme all'uomo, animale caratterizzato appunto dalla propensione a servirsi di utensili per qualunque attività. Clave, ossa di grossi animali, asce di pietra avranno dato origine ai primi colpi da botta e da taglio, mentre semplici bastoni appuntiti possono aver dato luogo ai primi colpi di punta.

Le parate e le schivate di base sono una reazione abbastanza istintiva a tali attacchi. Le prime testimonianze iconografiche sono più scene di battaglia vera e propria che di scherma intesa come allenamento al combattimento o scontro cortese, e ci vengono principalmente dalla Mezzaluna Fertile e dall'Egitto, dove è noto, in ogni caso, che si svolgevano allenamenti con bastoni di legno e scudi di paglia, e molto sviluppata era anche la scienza della lotta a mani nude. Si vedano per esempio l'allenamento egizio al lancio del coltello riprodotto da Sir R. Burton nel suo " The book of the sword ", le prese di "lotta libera" scolpite a Beni Hasan nel 3000 a.c., o ancora le antichissime scene di combattimento raffigurate nello splendido coltello in selce di Gebel-el-Arak.

Il combattimento nell'antica Grecia

In Grecia, invece, l'allenamento del guerriero prendeva soprattutto la forma di esercizi atletici, alcuni dei quali ancora oggi praticati, seppure in forma diversa. Si può anzi affermare che in generale l'atletica stessa derivi da un allenamento marziale di tipo greco, scisso in diverse discipline specifiche.

Tra queste si possono ricordare il lancio del giavellotto, il lancio del disco (antica arma tribale dei popoli indoeuropei, come ci ricordano per esempio i Veda dell'India), la corsa in armatura, il pugilato, la lotta, il pancrazio (che unisce le ultime due discipline), la pesistica.

Per quanto riguarda i testi, si possono ritrovare diversi indizi e indicazioni sulle discipline schermistiche elleniche, dispersi nella vasta letteratura di questo popolo avventuroso. Per esempio Senofonte nel suo testo sull'equitazione ci fornisce istruzioni su come combattere con la lancia a cavallo, compresi alcuni esercizi da svolgere, quale tipo di spada sia da preferire per schermire a cavallo ecc.

Lo stesso Senofonte, nella sua opera sull'educazione di Ciro, ci fornisce una chiave del motivo per cui la scherma aveva un peso tutto sommato ridotto nell'addestramento generale del guerriero greco. Egli ci dice infatti che nella battaglia tra falangi che si scontravano in ordine serrato era ben scarsa la possibilità di mancare un colpo, ed era invece importante la forza con cui i colpi venivano portati. Inoltre diverse testimonianze ci fanno pensare che in una tale mischia, dove le lance si rompevano ben presto e i guerrieri si trovavano spesso semplicemente a spingersi l'un l'altro per far indietreggiare lo schieramento avversario, aveva molta importanza l'abilità nella lotta a mani nude, tanto che Plutarco riteneva che i Tebani fossero temibili in battaglia proprio in quanto erano particolarmente abili nella disciplina olimpica della lotta.

E un breve trattato tecnico sulla lotta classica è pervenuto fino a noi tramite un papiro risalente all'Egitto ellenistico. L'iconografia, invece, sia nella scultura che nella ceramica, offre numerosi esempi di scene di combattimento con lance, scudi e spade corte, e anche diverse tecniche schermistiche sono spesso ben distinguibili. E' importante osservare che proprio l'iconografia ci consente di supporre che i Greci possedessero nozioni schermistiche di alto livello, soprattutto per le tecniche di lancia e scudo. Si può concludere affermando quindi che il popolo greco, così importante per la nascita dell'identità stessa dell'Occidente, se da un lato non annoverava la scherma tra le discipline più importanti praticate dai suoi cittadini-guerrieri, d'altro canto possedeva però nozioni schermistiche di buon livello."

Le origini del combattimento in Italia.

"Per quanto riguarda l'Italia, tra le prime testimonianze si possono contare i graffiti preistorici della Val Camonica, che rappresentano combattimenti con spade, asce e scudi. Sono raffigurate soprattutto diverse posizioni di guardia, con i combattenti in attesa di attaccare o difendersi. Un graffito pare rappresentare addirittura una sala d'arme, con due guerrieri che si affrontano dentro una grande casa.

Molto ci è noto sull'armamento dei vari popoli italici, quali etruschi e sanniti, sappiamo poco invece dei loro metodi di combattimento individuale. Per quanto riguarda l'Italia meridionale, invece, valga quanto detto a proposito della Grecia, che ebbe un'influenza dominante su questi territori. Sappiamo dalle fonti storiche che a Roma il Campo Marzio era dedicato alle manovre e agli esercizi militari, principalmente a livello collettivo.

Non molte sono le notizie su quali fossero le attività di addestramento all'uso delle armi a Roma in periodo monarchico e repubblicano, anche se gli storici riferiscono diversi episodi di singoli duelli durante le battaglie, il che fa pensare che fosse comunque diffuso un qualche tipo di allenamento individuale all'uso delle armi bianche.

L'invasione dei Galli porta il mondo centro-italico a confrontarsi con un modo di combattere in battaglia diverso, maggiormente basato sulle doti fisiche individuali. Vari storici latini parlano con ammirazione della confidenza che i Galli avevano con le loro armi, fino a dire che quando combattevano pareva danzassero. Tito Livio riferisce anche dei loro potentissimi colpi di taglio portati dall'alto in basso, e della prestanza fisica impressionante dei guerrieri. All'eleganza e alla potenza che formavano l'arte del combattente gallico il romano oppone con successo pochi ma solidi principi schermistici, di tipo razionale e scientifico. Lo scrittore di epoca bizantina Vegezio, per esempio, che raccoglie fonti militari più antiche, ci riferisce in un paragrafo del suo trattato "De re militari" quali fossero i principi di base dell'addestramento schermistico romano, che sono poi i principi fondamentali della scienza schermistica di ogni tempo: colpire per la via più breve e non scoprirsi nel colpire.

Oltre a ciò bisogna notare che lo schermitore romano prediligeva il colpo di punta, proprio in quanto porta a scoprirsi di meno rispetto al colpo di taglio. Sia nell'esercito sia nelle scuole gladiatorie esistevano veri e propri maestri di scherma, che facevano svolgere esercizi codificati, alcuni dei quali ci sono noti. Dalle scarne notizie giunte fino a noi pare quindi che in epoca romana la scherma fosse praticata ad un livello già molto alto, e che un metodo razionale di combattimento con armi bianche fosse ad uno stadio tutt'altro che embrionale.

Il maestro di scherma Francesco Antonio Marcelli, nel suo trattato del 1686, ci riferisce inoltre dell'esistenza di un vero e proprio trattato di scherma di epoca romana, scritto da un tale Caio Aurelio Scauro, trattato oggi purtroppo perduto. Da quanto detto appare chiaro come l'origine della scherma razionale vera e propria vada collocata nell'Evo Antico, certamente non più tardi dell'epoca romana.

Con le invasioni barbariche la documentazione a cui possiamo rifarci viene ad essere decisamente meno copiosa, soprattutto quella scritta. Tuttavia è realistico pensare che, tra le varie arti dei romani, quella schermistica sia stata meglio assorbita e conservata dai nuovi dominatori, popoli schiettamente guerrieri. Un recente studio sulle spade dei Longobardi ci conferma in questa opinione, dato che rivela non solo una tecnologia metallurgica estremamente sofisticata, con gradi di durezza e flessibilità delle lame difficilmente raggiungibili ancor oggi, ma anche una grande leggerezza e maneggevolezza delle armi, che erano quindi adatte ad un gioco schermistico raffinato e preciso, contrariamente a quanto vorrebbe il pregiudizio popolare.

Le illustrazioni e i testi che risalgono ai secoli a cavallo dell'anno mille ci mostrano soprattutto combattimenti in armatura e potenti colpi di taglio, in Italia come nel resto del nostro continente. Un'evoluzione in questo senso potrebbe essere dovuta in parte al tipo di armamento, che obbliga a sferrare colpi potenti per smagliare gli usberghi, e in parte ad un ritorno in auge di metodi di combattimento tipici del Nord Europa.

Abbiamo visto come potenti colpi di taglio fossero la base dell'arte gallica del combattimento, ed è possibile che nell'Europa del Nord sopravvivesse questa tradizione. A questo proposito va fatto notare come ancora in pieno Rinascimento molti combattenti inglesi disprezzassero ogni raffinatezza schermistica, elogiando i "buoni vecchi colpi di taglio dall'alto in basso", e come nei secoli seguenti gli stessi inglesi siano stati considerati del tutto incapaci nell'uso della spada da parte delle nazioni continentali. Inoltre non è forse un caso che l'armamento difensivo che si accompagna nel Medio Evo a questo tipo di combattimento sia abbastanza simile a quello spesso portato dai popoli gallici: l'usbergo di maglia di ferro.

Infine, l'enfasi sul colpo potente tipica di questo periodo potrebbe essere dovuta almeno in parte ad un luogo comune epico più che ad una realtà del combattimento. Nella letteratura epica del periodo si trovano solo alcuni riferimenti a tecniche schermistiche vere e proprie. For example, just to mention a few, in the "Chanson de Guillaume" of the epic cycle of Provence, it appears an action named "tour français", in which the fencer that executes the technique, after having parried with the shield, turns on himself and hits the opponent to the nape of the neck. Again, in the last battle of the epic poem "Havelok the Dane", the hero succeeds in severing the usurper's hand with a "mezzo tempo" (half-time) blow, i.e. a blow that hits the opponent while he's bringing his attack; often it is the right hand of the opponent, that he brings ahead to hit, which remains hurted. Both those techniques indicate some refinement of discipline and techniques, in contrast with the idea of a training aimed only to the development of strength and endurance. Finally, again in the epic cycle of Provence, we find that some characters are indicated as "fencing masters".

Coming back to the Italian peninsula, in the XIII century novel about the Arthurian hero Tristan known as "Tristano Riccardiano", we find that fencing training is mentioned many times as a daily activity of young squires and knights. And also in the XIII century we begin to find more documents that inform us more specifically about the status of fencing science and fencing schools. In Italy martial training had never been restricted to the noble class like in the rest of Europe. The same can be told of the joust and other similar military exercises, except for the quintane that was generally permitted to the popular classes also in the rest of the continent.

We have proof of the existence of several "societates", entities in many aspects similar to modern no-profit societies, dedicated to the training of young people in the use of arms, both mounted and on foot, in many city-states of the Italian regions of Lombardy, Tuscany, Emilia. Such "societates", made up of well-off but not noble citizens, had names like Società dei Forti (Society of the Strong), dei Gagliardi (of the Brave), della Spada (of the Sword), della Lancia (of the Lance), della Tavola Rotonda (of the Round Table), etc. However, the first proof of the existence in Italy of true fencing masters is not related to such groups but to the noble class. We know that a Master Goffredo, fencer, taught to the warlike clergyman Patriarch Gregorio da Montelongo in 1259, in Cividale del Friuli, the same town that was to become the fatherland of the first Italian fencing writer, Master Fiore dei Liberi. In the same town between 1300 e il 1307 there have been some legal acts regarding a Master Arnoldo, "scharmitor" (fencer), and in 1341 another document names a Pertoldus, fencer, probably a German. In the same century and in the same town we find Master Domenico from Trieste, Pietro, another fencer, also a German, and Master Franceschino from Lucca (Tuscany). Always in the North-Eastern region of Friuli we find notice of other three fencing masters active in the XIII century.

We have to say that in that century the German school was in a period of great splendor, and it is precisely in that country and in that century that the first fencing treatises of the Middle Ages appeared. The oldest treatise available today is the Manuscript I.33 of the Royal Armouries of London, dated around the year 1300. This text, written in Latin but with many words in ancient German, presents, in a way generally quite understandable, a well developed fencing method for combat with sword and buckler (a little round shield to be hold with the left hand). Such method is teached by a "sacerdos" (a clergyman, probably a monk) to his "discipuli et clientuli" (little disciples and followers, or clients). The basic technique of the "sacerdos" is the binding of the opponent's sword, followed by a great variety of actions, among them many grips. Some other interesting German fencing treatises will follow during the XIV and XV century, mostly about the two-hand sword, up to the XVI century, when  the prevalence of the Italian School will be already well established, and the German school will be almost abandoned.

The Italian Fencing Shool

But also in last centuries of the Middle Ages Italy had been very active in this field: since the XIII century the Bolognese School was well known and appreciated in the rest of Europe. Even if we don't have the names of single masteres that thaught in Bologna in that century, we have the names of three (!) Italian masters that were present in Paris in the year 1292: Master Tommaso, Master Nicolò and Master Filippo.

In the following century we find the first names of Bolognese masters: Master Rosolino was teaching in 1338, Master Francesco in 1354, Master Nerio in 1385. In 1410 Master Fiore dei Liberi, born in Cividale del Friuli, was living and teaching in Ferrara (in the region of Emilia). That town, one of the most splendid courts of the period, was destined to become home to some of the most popular authors of knightly poems of the Italian Renaissance, like Boiardo, writer of the "Orlando Innamorato" and Ariosto, author of the "Orlando Furioso". After an adventurous life, spent among several wars, journeys and the learning of fencing from both Italian and German masters, the old Master Fiore, upon request by his Lord, accepted to write a book, the most ancient Italian fencing treatise that seems to have survived, the Flos Duellatorum (Flower of the Duellers).

We have three manuscripts that contain Fiore's work, one in Italy and two in the U.S., and each one presents many differences from the others, so we can presume that each copist, probably an expert fencer himself, made some changes to the original text. The book is mainly composed by drawings that illustrate the different fencing techniques, each one matched by some verses. In the Italian manuscript, named Codice Pisani-Dossi, the text is often limited to a couple of verses, that probably had to be learned by heart by the students, specially the illiterate ones. In the two U.S. manuscripts the text is more extended and clear, and it permits to clarify several techniques that are rather obscure in the Italian manuscript. Master Fiore puts at the beginning of his work the warning that it is impossibile to remember all the techniques without a book, and that there cannot be a good "scholar" withour a book, and even less, obviously, a good Master. So we have some evidence that writing fencing books for the students was a well established tradition already in Master Fiore's times, even if we have to remind to the reader that before the invention of the press all those books were in just one copy, hand-written, and probably most of them are definitely lost.

The "school subjects" in Master Fiore's school were wrestling, unarmed defence against the dagger, dagger combat, some techinques with sticks and staffs, pike fencing, one-hand sword and mostly two-hand sword, a weapon born in the XIII century as an answer to the introduction of plate armour, and very popular among knights in that period.
In fact Fiore dei Liberi dedicates a part of the book also to armoured combat with the two-hand sword, armoured fight with the pole-axe, mounted combat with the lance, the sword and even bare-handed, techiniques to be executed with the dagger against an opponent armed with a sword and viceversa, sword unsheathing techniques, etc.In short, he supplies us a complete martial instruction and, frankly speaking, a high level one, including concepts that today are the basis of modern sport fencing like "distance", "time", half-time or "mezzo tempo", "parry and risposte". It is worth mentioning what are the basic virtues of the fencer for the Friulan Master: celeritas, fortitudo, audacia, prudentia (quickness, strength, courage and prudence), virtues that are somewhat in opposition between them, and between which one must find an equilibrium.

The next treatise available to us is the "De arte gladiatoria dimicandi" of Master Filippo Vadi, from Pisa, written for the Duke Guidobaldo da Montefeltro between 1482 and 1487. Between Vadi's treatise and Fiore dei Liberi's one there are so many similarities that we have to presume that the Pisan Master had the possibility to see the teachings of Fiore dei Liberi, by means either of a copy of his book or of the teachings of some master coming from Fiore's tradition.  However, it is evident that Vadi favours the teaching of the two-hand sword over the other weapons, that are limited to a very reduced space or disappear completely, like also unarmed wrestling and mounted combat do. In practice the only weapon that is treated with attention apart from the two-hand sword is the dagger, also in the form of personal defence with bare hands against a dagger assault (a science that could result of great utility in the courts of the period, according to the chronicles). One of the new elements introduced for the very first time by Filippo Vadi, as far as we know, is the part of the treatise made up exclusively of text, without illustrations, a solution that would become very popular in the following century. In fact in many Renaissance treatises the text becomes always the most important part for the comprehension of the techniques and the principles contained in the treatise. Mostly in the firts treatises of the century, the ones written by Masters of the Bolognese School, illustrations are either completely missing, or they have a function of pure support of the textual part. It is worth noting that Vadi puts just at the beginning of his book a long discussion on the fact that fencing is not an art but a science, based on rational and in particular geometrical principles.

Meanwhile, during the XV century the Bolognese School appear to have been led by Master Filippo (or Lippo) di Bartolomeo Dardi. We have evidence of him and his school since 1413. Besides being a fencing master, this eclectic figure was an Astrologer (and consequently an Astronomer, as there was no difference at that time), a Matematician, and from the year 1434 he was also Geometry Professor at Bologna University, the oldest University in Europe. Dardi obtained that title for having written a book (now lost) about the relation between fencing and geometry. This literate fencer died in 1464, leaving behind him a heir like Master Guido Antonio Di Luca. A reknown fencing master, "from which school more warriors came out than from the belly of the Troyan Horse", Di Luca taught how to fight, for example to the famous mercenary commander, the "condottiero" Giovanni de' Medici, better known as Giovanni dalle Bande Nere, as well as to the most famous of the Italian Renaissance fencing masters, the bolognese Achille Marozzo .

In 1509, in the same city of Urbino where Vadi had teached, the Spanish Master Pietro Moncio, also known as Monte or Monti, was writing his long treatise in Latin. Monte taught fencing at the court of Urbino, specially to the Duke Guidubaldo, and he was celebrated by the famous writer Baldassarre Castiglione in his book "Il Cortegiano" (The Courtier") as a perfect gentleman and knight. Some copies of such treatise, for many years believed to be definitely lost, have been recently discovered.

Another student of Di Luca was the popular fencing master Achille Marozzo, General Master at Arms in Bologna, who taught fencing with one hand cut-and-thrust sword, sword and dagger, sword and buckler, sword and target, sword and round target, sword and palvese, sword and cloak, Bolognese dagger, Bolognese dagger and cloak, two hand-sword, pike, partisan bill, long pole-axe, defence against the dagger etc. He wrote a treatise, the "Opera Nova", that was destined to be re-printed many times during the XVI century and to be considered the symbol of the Italian school that would dominate the continent, almost unchallenged, for the following centuries.

The Marozzo’s treatise most famous edition is the one in Modna in 1536. The structure of Marozzo’s treatise is the following:

All the techniques taught by Marozzo are notably refined and precise, the defenses and the responses are punctual and immediate, the attacks are prudent and well calculated, always thinking that the principal purpose of the action is not to injure the adversary but to exit uninjured from the action.

Footwork system is formed by circular movements and side-stepping, very different from the actual fencing one, and studied for fighting with a weapon in both hands.
The bases of the techniques are the "parata e risposta" ("parry and response"), the "mezzo tempo" ("half time"), that is: hitting your opponent when he begins his attack, and the "tempo insieme" ("same time"), that is: while you parry with a weapon (for example the target, the dagger or the cloak) you attack with the other (the sword), without waiting to have completed the parry like in a "parry and response".

In attacks, and this is the greatest refinement of this play, he always presupposes that the adversary reacts to the best, protecting himself and immediately responsing, so the attack always is studied to escape to the response of the adversary and to use this response to hurt him.

Circa nello stesso periodo scriveva anche il bolognese Antonio Manciolino,componendo un'opera di scherma altrettanto valida e, curiosamente, con lo stesso titolo. Il trattato di Antonio Manciolino, del 1531, è in generale abbastanza simile, anche se manca della parte sulle regole del duello, e infatti l'autore pensa che questa materia non sia di competenza del maestro di scherma ma del giurista o del filosofo, e anche l' insegnamento dello spadone a due mani è del tutto assente. Nel Rinascimento ormai la supremazia della scherma italiana in Europa è un dato di fatto assodato. Nel contesto del trionfo delle sale d'arme italiane a livello continentale, la Scuola Bolognese costituisce la scuola più importante e prestigiosa d'Italia, ma anche, per quanto riguarda la seconda metà del secolo, la più ancorata alla tradizione e la più conservatrice.

La generazione di maestri e trattatisti nata dalla scuola di Achille Marozzo continua nell'insegnamento della spada da lato civile-militare, anche se viene ormai trascurato l'insegnamento dei vari tipi di scudo, ormai non più attuali, per privilegiare la spada sola (Angelo Viggiani, o alla bolognese Vizani) o anche la spada accompagnata dalla daga o dalla cappa (Giovanni Dalle Agocchie). Nello stesso periodo altri trattatisti e altre scuole della penisola criticano il gioco misto di punta e di taglio, limitandosi agli attacchi di punta e adottando la striscia, una spada più lunga e sottile, agile ma poco adatta ai colpi di taglio. Nello stesso tempo si cerca di razionalizzare il sistema di guardie che la Scuola Bolognese aveva ereditato dalla tradizione dei secoli precedenti, riducendone il numero e denominandole solo con numeri o per la posizione della spada nello spazio, invece che perpetuare gli antichi nomi che fanno riferimento a cinghiali, alicorni, porte di ferro ecc. Si assiste ad un fiorire di scuole e ad un proliferare di trattati. Bisogna considerare che in questo periodo ormai l'uso bellico della spada è diventato trascurabile, e le armi da battaglia sono l'archibugio e la picca lunga. La spada quindi è riservata esclusivamente al duello e alla difesa personale in strada, e la scherma insegnata nelle sale d'arme si specializza solo su questo tipo di scontro, perdendo gradualmente la conoscenza di tecniche (colpi e parate di taglio), armi (i vari tipi di scudo) e situazioni (combattimento a cavallo o contro cavalieri, contro armi d'asta ecc.).

In quest'epoca, quindi, l'evoluzione della scherma si gioca tutta in Italia, e il resto del continente accorre per apprendere dai maestri della penisola come si combatte con la spada, e non solo con la spada. Nel Cinquecento, per dare la misura del fenomeno, il trattato di scherma più importante scritto in Germania, quello del Meyer, è un'opera di divulgazione della scherma italiana, e addirittura alcuni autori ritengono che Meyer fosse un allievo di Marozzo.

In Inghilterra nel XVI secolo vengono stampati solo tre trattati di scherma, dei quali il primo è la traduzione di quello del modenese Giacomo Di Grassi, il secondo fu scritto direttamente in inglese dal maestro italiano Saviolo, che era andato a insegnare in quel paese, e il terzo è una vibrante protesta del maestro inglese George Silver contro il predominio dei maestri italiani in Inghilterra.

In Francia troviamo solo il trattato del signore di Sainct-Didier, molto chiaro ma molto semplice, anche questo in polemica con la scuola italiana, della quale peraltro costituisce solo un riassunto elementare e divulgativo, che viene spacciato per scherma autoctona francese. Sempre in Francia troviamo ancora nel XVII secolo una prova della vitalità della vecchia Scuola Bolognese, con la dinastia dei Cavalcabò. Questa famiglia, che conta tra i suoi membri lo stampatore del trattato di Angelo Viggiani, il bolognese Zacharia Cavalcabò, ebbe due dei suoi membri insigniti a Parigi del titolo di maestro di scherma del Re, prima Geronimo, del cui trattato di scherma apparve nel 1609 una traduzione francese, poi suo figlio Cesare, che fu l'ultimo maestro d'armi straniero chiamato alla corte di Francia."

La nascita del duello e la decadenza della scuola Italiana

Nel secolo XVII alla scuola italiana, basata soprattutto sul gioco di spada sola e di spada e daga, si affianca la scuola spagnola, che si concentra sulla spada sola, con un periodo di splendore di circa un secolo, dopodiché continuerà a sopravvivere per qualche tempo solo nella penisola iberica.

Nel corso del XVII secolo anche l'uso della spada per difesa personale in strada viene ad avere sempre meno importanza, e verso la fine del secolo la lunga striscia da accompagnare alla daga comincia ad essere vista come troppo ingombrante e vistosa per far parte dell'abbigliamento di un gentiluomo.

L'uso marziale della spada viene ad essere sempre più confinato al duello tra nobili con regole codificate e prestabilite. Vi è quindi l'apparizione, dapprima più che altro come accessorio d'abbigliamento, di uno spadino adatto esclusivamente a colpire di punta, e ben più corto della striscia.

Nel secolo XVIII la scuola francese si specializza su di un gioco esclusivamente di punta, che rifugge dall'uso di armi secondarie come la daga, un gioco adatto al corto spadino che ormai tutta la nobiltà porta al fianco. La scuola francese risulta gradita alla nobiltà del tempo, e la scuola italiana entra alla fine in crisi. I francesi riescono gradualmente ad imporre l'idea che sia scorretto utilizzare la daga o il pugnale in ausilio alla spada, e proibiscono addirittura, in duello, di toccare l'avversario con la mano sinistra per colpirlo o sbilanciarlo, come si era sempre fatto fino a quel momento. La scherma diventa quindi sempre più astratta, sempre più appannaggio esclusivo dei nobili, in sostanza, sempre più lontana da una vera preparazione ad un combattimento reale e senza regole per la sopravvivenza.

Accade così che quando, dalla fine del Settecento fino a tutto l'Ottocento, si ritorna ad usare l'arma bianca in guerra, soprattutto a cavallo, l'insegnamento schermistico delle sale d'armi risulta inadeguato alla realtà del combattimento in battaglia. Si pone il problema di dove si possa apprendere a combattere usando lame da taglio quali le sciabole di cavalleria, e si ricorre a popoli ai margini dell' Europa come gli scozzesi o gli ungheresi, che avevano conservato questa tradizione. Tuttavia, si comincia poi ben presto a ricercare un gioco più scientifico e raffinato anche per la sciabola, un metodo che non metta a repentaglio la vita dello schermitore inducendolo a scoprirsi inutilmente. E i ricercatori che si muovono in questo senso, come il già citato esploratore, scrittore e maestro d'armi Sir Richard Burton, non possono che andare a cercare negli scritti della Scuola Italiana, e in particolare nel trattato di Achille Marozzo, suggerimenti per sviluppare un nuovo gioco misto di punta e taglio, che resista alla prova del fuoco di un combattimento senza regole e senza pietà. La Francia, l'Ungheria e soprattutto l'Italia si rivelano presto nazioni che sviluppano una grande tradizione della scherma di sciabola. Ben presto, tuttavia, la parentesi dell'uso della sciabola in battaglia si chiude, e riprende il cammino della scherma occidentale verso una sempre maggior astrattezza. Sopravvive per un certo periodo la pratica del duello codificato, anche all' ultimo sangue ma con precise regole e limitazioni.

A questo proposito va fatto notare che, come si evince per esempio da quanto ci riferisce J. Gelli nel suo libro sui duelli mortali dell'Ottocento, la maggior parte dei duelli di sciabola si chiudevano con una ferita inabilitante, spesso alla mano, mentre i duelli di spada, basati sui colpi solo di punta di scuola francese, causavano spesso la morte di uno dei duellanti, e a volte di entrambi. Quando poi si diffuse la pratica del duello alla pistola il numero dei morti aumentò a dismisura. In questo secolo si è infine arrivati a limitare la scherma nei confini di uno sport affascinante ma basato su regole astratte e lontano dalla cruda realtà del combattimento, per cui vengono ammessi colpi che non sarebbero possibili con un'arma vera (tipico esempio sono quelli che "toccano" per il solo fatto di sfruttare la flessibilità dell'attrezzo sportivo), viene ammesso solo un gioco in linea, non si può uscire dalla pedana, non si può portare avanti il piede sinistro, il bersaglio è limitato ad alcune zone del corpo, ecc."

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