Poche persone sono informate del fatto che l'Italia è stata per molti secoli la culla della scherma europea, e in particolare la nostra regione è stata per lungo tempo la sede delle scuole d'armi di gran lunga più prestigiose del continente.
Penso che valga la pena, quindi, di compiere un rapido viaggio ripercorrendo le tappe principali di una disciplina che ha accompagnato le popolazioni e le élite della nostra terra per molto tempo.
Vorrei premettere che fino a tempi molto recenti si intendeva per "scherma" un metodo scientifico per combattere non solo con la spada, ma con qualunque "arma manesca", includendo quindi una vastissima tipologia di armi, dalle armi d'asta quali picche, lance e alabarde fino al pugnale e perfino al semplice bastone.
E' difficile stabilire un punto di inizio, un'origine, per la scienza della scherma, sia in generale sia in particolare in Italia.
E' ragionevole pensare che i primi rudimenti della scherma siano nati insieme all'uomo, animale caratterizzato appunto dalla propensione a servirsi di utensili per qualunque attività. Clave, ossa di grossi animali, asce di pietra avranno dato origine ai primi colpi da botta e da taglio, mentre semplici bastoni appuntiti possono aver dato luogo ai primi colpi di punta.
Le parate e le schivate di base sono una reazione abbastanza istintiva a tali attacchi. Le prime testimonianze iconografiche sono più scene di battaglia vera e propria che di scherma intesa come allenamento al combattimento o scontro cortese, e ci vengono principalmente dalla Mezzaluna Fertile e dall'Egitto, dove è noto, in ogni caso, che si svolgevano allenamenti con bastoni di legno e scudi di paglia, e molto sviluppata era anche la scienza della lotta a mani nude. Si vedano per esempio l'allenamento egizio al lancio del coltello riprodotto da Sir R. Burton nel suo "The book of the sword", le prese di "lotta libera" scolpite a Beni Hasan nel 3000 a.c., o ancora le antichissime scene di combattimento raffigurate nello splendido coltello in selce di Gebel-el-Arak.
In Grecia, invece, l'allenamento del guerriero prendeva soprattutto la forma di esercizi atletici, alcuni dei quali ancora oggi praticati, seppure in forma diversa. Si può anzi affermare che in generale l'atletica stessa derivi da un allenamento marziale di tipo greco, scisso in diverse discipline specifiche.
Tra queste si possono ricordare il lancio del giavellotto, il lancio del disco (antica arma tribale dei popoli indoeuropei, come ci ricordano per esempio i Veda dell'India), la corsa in armatura, il pugilato, la lotta, il pancrazio (che unisce le ultime due discipline), la pesistica.
Per quanto riguarda i testi, si possono ritrovare diversi indizi e indicazioni sulle discipline schermistiche elleniche, dispersi nella vasta letteratura di questo popolo avventuroso. Per esempio Senofonte nel suo testo sull'equitazione ci fornisce istruzioni su come combattere con la lancia a cavallo, compresi alcuni esercizi da svolgere, quale tipo di spada sia da preferire per schermire a cavallo ecc.
Lo stesso Senofonte, nella sua opera sull'educazione di Ciro, ci fornisce una chiave del motivo per cui la scherma aveva un peso tutto sommato ridotto nell'addestramento generale del guerriero greco. Egli ci dice infatti che nella battaglia tra falangi che si scontravano in ordine serrato era ben scarsa la possibilità di mancare un colpo, ed era invece importante la forza con cui i colpi venivano portati. Inoltre diverse testimonianze ci fanno pensare che in una tale mischia, dove le lance si rompevano ben presto e i guerrieri si trovavano spesso semplicemente a spingersi l'un l'altro per far indietreggiare lo schieramento avversario, aveva molta importanza l'abilità nella lotta a mani nude, tanto che Plutarco riteneva che i Tebani fossero temibili in battaglia proprio in quanto erano particolarmente abili nella disciplina olimpica della lotta.
E un breve trattato tecnico sulla lotta classica è pervenuto fino a noi tramite un papiro risalente all'Egitto ellenistico. L'iconografia, invece, sia nella scultura che nella ceramica, offre numerosi esempi di scene di combattimento con lance, scudi e spade corte, e anche diverse tecniche schermistiche sono spesso ben distinguibili. E' importante osservare che proprio l'iconografia ci consente di supporre che i Greci possedessero nozioni schermistiche di alto livello, soprattutto per le tecniche di lancia e scudo. Si può concludere affermando quindi che il popolo greco, così importante per la nascita dell'identità stessa dell'Occidente, se da un lato non annoverava la scherma tra le discipline più importanti praticate dai suoi cittadini-guerrieri, d'altro canto possedeva però nozioni schermistiche di buon livello.
Per quanto riguarda l'Italia, tra le prime testimonianze si possono contare i graffiti preistorici della Val Camonica, che rappresentano combattimenti con spade, asce e scudi. Sono raffigurate soprattutto diverse posizioni di guardia, con i combattenti in attesa di attaccare o difendersi. Un graffito pare rappresentare addirittura una sala d'arme, con due guerrieri che si affrontano dentro una grande casa.
Molto ci è noto sull'armamento dei vari popoli italici, quali etruschi e sanniti, sappiamo poco invece dei loro metodi di combattimento individuale. Per quanto riguarda l'Italia meridionale, invece, valga quanto detto a proposito della Grecia, che ebbe un'influenza dominante su questi territori. Sappiamo dalle fonti storiche che a Roma il Campo Marzio era dedicato alle manovre e agli esercizi militari, principalmente a livello collettivo.
Non molte sono le notizie su quali fossero le attività di addestramento all'uso delle armi a Roma in periodo monarchico e repubblicano, anche se gli storici riferiscono diversi episodi di singoli duelli durante le battaglie, il che fa pensare che fosse comunque diffuso un qualche tipo di allenamento individuale all'uso delle armi bianche.
L'invasione dei Galli porta il mondo centro-italico a confrontarsi con un modo di combattere in battaglia diverso, maggiormente basato sulle doti fisiche individuali. Vari storici latini parlano con ammirazione della confidenza che i Galli avevano con le loro armi, fino a dire che quando combattevano pareva danzassero. Tito Livio riferisce anche dei loro potentissimi colpi di taglio portati dall'alto in basso, e della prestanza fisica impressionante dei guerrieri. All'eleganza e alla potenza che formavano l'arte del combattente gallico il romano oppone con successo pochi ma solidi principi schermistici, di tipo razionale e scientifico. Lo scrittore di epoca bizantina Vegezio, per esempio, che raccoglie fonti militari più antiche, ci riferisce in un paragrafo del suo trattato "De re militari" quali fossero i principi di base dell'addestramento schermistico romano, che sono poi i principi fondamentali della scienza schermistica di ogni tempo: colpire per la via più breve e non scoprirsi nel colpire.
Oltre a ciò bisogna notare che lo schermitore romano prediligeva il colpo di punta, proprio in quanto porta a scoprirsi di meno rispetto al colpo di taglio. Sia nell'esercito sia nelle scuole gladiatorie esistevano veri e propri maestri di scherma, che facevano svolgere esercizi codificati, alcuni dei quali ci sono noti. Dalle scarne notizie giunte fino a noi pare quindi che in epoca romana la scherma fosse praticata ad un livello già molto alto, e che un metodo razionale di combattimento con armi bianche fosse ad uno stadio tutt'altro che embrionale.
Il maestro di scherma Francesco Antonio Marcelli, nel suo trattato del 1686, ci riferisce inoltre dell'esistenza di un vero e proprio trattato di scherma di epoca romana, scritto da un tale Caio Aurelio Scauro, trattato oggi purtroppo perduto. Da quanto detto appare chiaro come l'origine della scherma razionale vera e propria vada collocata nell'Evo Antico, certamente non più tardi dell'epoca romana.
Con le invasioni barbariche la documentazione a cui possiamo rifarci viene ad essere decisamente meno copiosa, soprattutto quella scritta. Tuttavia è realistico pensare che, tra le varie arti dei romani, quella schermistica sia stata meglio assorbita e conservata dai nuovi dominatori, popoli schiettamente guerrieri. Un recente studio sulle spade dei Longobardi ci conferma in questa opinione, dato che rivela non solo una tecnologia metallurgica estremamente sofisticata, con gradi di durezza e flessibilità delle lame difficilmente raggiungibili ancor oggi, ma anche una grande leggerezza e maneggevolezza delle armi, che erano quindi adatte ad un gioco schermistico raffinato e preciso, contrariamente a quanto vorrebbe il pregiudizio popolare.
Le illustrazioni e i testi che risalgono ai secoli a cavallo dell'anno mille ci mostrano soprattutto combattimenti in armatura e potenti colpi di taglio, in Italia come nel resto del nostro continente. Un'evoluzione in questo senso potrebbe essere dovuta in parte al tipo di armamento, che obbliga a sferrare colpi potenti per smagliare gli usberghi, e in parte ad un ritorno in auge di metodi di combattimento tipici del Nord Europa.
Abbiamo visto come potenti colpi di taglio fossero la base dell'arte gallica del combattimento, ed è possibile che nell'Europa del Nord sopravvivesse questa tradizione. A questo proposito va fatto notare come ancora in pieno Rinascimento molti combattenti inglesi disprezzassero ogni raffinatezza schermistica, elogiando i "buoni vecchi colpi di taglio dall'alto in basso", e come nei secoli seguenti gli stessi inglesi siano stati considerati del tutto incapaci nell'uso della spada da parte delle nazioni continentali. Inoltre non è forse un caso che l'armamento difensivo che si accompagna nel Medio Evo a questo tipo di combattimento sia abbastanza simile a quello spesso portato dai popoli gallici: l'usbergo di maglia di ferro.
Infine, l'enfasi sul colpo potente tipica di questo periodo potrebbe essere dovuta almeno in parte ad un luogo comune epico più che ad una realtà del combattimento. Nella letteratura epica del periodo si trovano solo alcuni riferimenti a tecniche schermistiche vere e proprie. Per esempio nella provenzale " Canzone di Guglielmo " viene nominata un'azione denominata " tour français ", in cui chi la esegue, dopo aver parato un colpo con lo scudo, ruota su se stesso e colpisce l'avversario alla nuca. Ancora, nella battaglia finale dell'opera " Havelok il Danese ", il protagonista riesce a mutilare della mano l'usurpatore suo nemico con un colpo "in mezzo tempo" (cioé un colpo che ferisce l'avversario mentre costui sta portando il suo attacco; spesso si colpisce, appunto, la mano destra del nemico, che costui porta innanzi per colpire). Entrambe queste tecniche sono indice di una certa raffinatezza dell'addestramento, che contrasta con l'idea di un allenamento marziale teso a sviluppare solo forza e resistenza. Infine, sempre nel ciclo epico provenzale, si riferisce di alcuni personaggi qualificati come veri e propri maestri di scherma.
Per tornare alla nostra penisola, nel " Tristano Riccardiano " del Duecento troviamo l'allenamento schermistico con armi di legno ricordato più e più volte come attività quotidiana dei giovani scudieri e cavalieri. Ma arrivando ormai a parlare del Duecento, torniamo a trovare in questo secolo anche un maggior numero di documenti che ci informano più specificamente sullo stato della scienza schermistica e delle scuole di scherma. In Italia l'addestramento marziale probabilmente non è mai stato ristretto del tutto alla classe nobiliare come nel resto d'Europa. Lo stesso si può dire anche per la pratica del torneo e di altri esercizi militari affini, eccetto che per la quintana, che in genere era permessa alle classi popolari anche nel resto del continente.
Abbiamo testimonianza di diverse "societas", una sorta di "associazioni" del tempo, dedite all'addestramento dei giovani all'uso delle armi, sia a piedi che a cavallo, in molte città-stato della Lombardia, della Toscana e dell'Emilia, con nomi come Società dei Forti, dei Gagliardi, della Spada, della Lancia, della Tavola Rotonda ecc. Ma la prima testimonianza che abbiamo sull'esistenza di maestri di scherma veri e propri non è collegata a tali gruppi bensì alla nobiltà. Sappiamo che un tale Maestro Goffredo, schermitore, insegnava al bellicoso Patriarca Gregorio da Montelongo nel 1259, a Cividale del Friuli, la stessa città che sarebbe stata poi la patria del primo trattatista di scherma italiano, Fiore dei Liberi. Nella stessa città tra il 1300 e il 1307 sono rimasti alcuni atti legali che riguardano un tale Maestro Arnoldo, "scharmitor", e nel 1341 un altro documento nomina un Pertoldus, schermitore, probabilmente un tedesco. Nello stesso secolo e nella stessa città troviamo Maestro Domenico da Trieste, un tale Pietro, schermitore, tedesco anche lui, e Maestro Franceschino da Lucca. Sempre in Friuli troviamo nominati altri tre maestri di scherma nel secolo XIII.
Va detto che in questo secolo la scuola d'armi tedesca godeva di un periodo di grande splendore, ed è infatti in questo secolo che cominciano ad apparire i primi trattati di scherma del Medio Evo che sono giunti fino a noi, e che risultano essere appunto di ambiente tedesco. Il trattato più antico oggi disponibile è il manoscritto I.33 conservato a Londra, datato intorno all'anno 1300. Questo testo, scritto in latino ma con molti termini tecnici in antico tedesco, presenta, in modo generalmente abbastanza comprensibile, un metodo schermistico ben sviluppato per il combattimento con spada e brocchiero (un piccolo scudo da impugnare con la mano sinistra), che viene insegnato da un "sacerdos" ai suoi "discipuli et clientuli". La tecnica basilare in tale metodo è la legatura della spada dell'avversario, seguita da una grande varietà di azioni, anche di lotta. Seguiranno diversi altri interessanti testi di scherma nel corso del XIV e XV secolo, soprattutto riguardanti la spada a due mani, mentre nel XVI secolo apparirà ormai chiaro il predominio della Scuola Italiana, e la Scuola Tedesca sarà in sostanza abbandonata.
Sin dal XIII secolo è noto che la Scuola Bolognese era ben conosciuta ed apprezzata in tutta Europa. Anche se non ci sono giunti nomi di singoli maestri che operavano nel nostro territorio in questo secolo, abbiamo invece i nomi di tre maestri italiani che nel 1292 erano presenti a Parigi: Maestro Tommaso, Maestro Nicolò e Maestro Filippo.
Nel secolo successivo troviamo i primi nomi di maestri che insegnavano a Bologna: Maestro Rosolino insegnava nel 1338, Maestro Francesco nel 1354, Maestro Nerio nel 1385. Nel 1410 il vecchio Maestro Fiore dei Liberi, nato a Cividale, in Friuli, ma che viveva e insegnava a Ferrara, dopo una vita avventurosa trascorsa tra guerre e l'apprendimento della scherma sia da Maestri italiani sia da Maestri Tedeschi, su insistenza del proprio signore, scrisse il suo libro, il più antico trattato italiano di scherma giunto fino a noi, il " Flos Duellatorum ".
La città di Ferrara, una delle corti più splendide del periodo, era destinata diventare la casa di alcuni dei più popolari autori di poemi cavallereschi del Rinascimento italiano, autori come Boiardo lo scrittore dell'“Orlando Innamorato” e Ariosto, autore dell'“Orlando Furioso.” Del " Flos Duellatorum " ci restano tre versioni diverse, una conservata in Italia e più volte ripubblicata, e altre due conservate invece negli Stati Uniti. Le copie sono molto differenti l'una dall'altra, si suppone quindi che ogni copista, un esperto di scherma a sua volta, abbia compiuto delle modifiche del testo originale. Il trattato è composto principalmente da disegni che illustrano le tecniche schermistiche. Oltre alle illustrazioni, il codice italiano, chiamato Codice Pisani-Dossi, presenta per ogni tecnica pochi versi in rima, generalmente solo due versi per ogni disegno. Questi ultimi probabilmente dovevano essere memorizzati dagli allievi, soprattutto quelli analfabeti. I codici americani, invece, forniscono spiegazioni e commenti più dettagliati, che molto spesso chiariscono il senso di tecniche altrimenti piuttosto oscure. Maestro Fiore pone verso l'inizio del suo lavoro l'avvertenza che è impossibile ricordarsi tutte le tecniche senza un libro, e che non ci sarà mai un buon "scholar" senza libro, tanto meno un buon maestro.
Abbiamo quindi un indizio del fatto che scrivere libri di scherma per i propri allievi era una tradizione già ben stabilita al tempo di Maestro Fiore, anche se bisogna ricordare che prima dell'invenzione della stampa tali libri dovevano essere tutti in copia unica, e probabilmente la maggior parte è andata irrimediabilmente perduta. Le "materie d'insegnamento" alla scuola di maestro Fiore erano la lotta a mani nude, la difesa senz'armi contro la daga, il combattimento con la daga, alcune tecniche con bastoni di diverse dimensioni, scherma di picca corta, spada e, soprattutto, spada a due mani, arma nata nel secolo XIII come risposta all' introduzione dell'armatura a piastre, e molto in voga in questo periodo. Fiore dei Liberi dedica un capitolo anche al combattimento in armatura completa con spada a due mani, e troviamo anche combattimento in armatura con l'azza, combattimento a cavallo con lancia, spada e perfino senza armi, tecniche da eseguire con la daga contro un avversario armato di spada e viceversa, ecc. Insomma, ci viene fornita un'istruzione marziale completa e, francamente, di ottimo livello, comprendente concetti che ancora oggi sono la base della scherma sportiva come "distanza", "tempo", "mezzo tempo", "parata e risposta". Vale la pena nominare quali sono per il Maestro friulano le virtù fondamentali dello schermitore: velocità, forza, coraggio e prudenza, virtù che in un certo qual modo si oppongono tra loro e tra le quali bisogna trovare un equilibrio.
Il trattato seguente di cui disponiamo è quello di Maestro Filippo Vadi, pisano, scritto per il Duca Guidobaldo da Montefeltro tra il 1482 e il 1487, il " De Arte Gladiatoria Dimicandi ". Il libro ha una struttura non troppo diversa dal trattato di Fiore, da cui si può ipotizzare che il Maestro pisano possa avere avuto la possibilità di vedere il libro di Fiore oppure contatti con alcuni Maestri della sua scuola, anche se i costumi e le armature che appaiono nelle illustrazioni riflettono le variazioni intervenute nel costume e nell'armamento in tre quarti di secolo. Oltre a ciò è evidente come Vadi privilegi nettamente l'insegnamento della spada a due mani sulle altre armi, che vengono ad avere uno spazio molto ridotto o scompaiono del tutto, come scompare anche il combattimento a cavallo. In pratica l'unica arma che viene trattata con qualche attenzione, oltre ovviamente alla spada a due mani, è la daga, anche nella variante della difesa personale contro un attacco di daga (disciplina che nelle corti del tempo poteva risultare molto utile). Una novità introdotta da Filippo Vadi è la parte del trattato composta di solo testo, senza illustrazioni, soluzione che avrà molta fortuna nel secolo successivo, in cui spesso, soprattutto nei trattati bolognesi, le illustrazioni mancano del tutto o hanno una pura funzione di supporto del testo. Infatti in molti trattati del rinascimento, il testo diviene la parte più importante per la comprensione delle tecniche e deii principi contenuti nel trattato. Vale la pena notare che Vadi pone nel suo libro una lunga disquisizione sul fatto che la scherma non è un'arte ma una scienza, basata su principi razionali e, in particolare, geometrici.
Sempre nel secolo XV la Scuola Bolognese espresse la figura di Maestro Filippo (o Lippo) di Bartolomeo Dardi. Abbiamo notizia di lui e della sua scuola fin dal 1413. Oltre che essere maestro di scherma questo eclettico personaggio era Astrologo (e quindi anche Astronomo, visto che all'epoca le due professioni coincidevano), Matematico, e a partire dall'anno 1434 fu anche Professore di Geometria all' Università di Bologna. Il Dardi ottenne questa carica per aver scritto un libro (ora perduto) sulle relazioni tra scherma e geometria. Questo schermitore letterato morì nel 1464, lasciando dietro di sé un erede del calibro di Guido Antonio di Luca. Quest'ultimo, rinomato maestro di scherma, "dalla cui scuola uscirono più guerrieri che dal cavallo di Troia", insegnò a combattere, per esempio, al famoso condottiero Giovanni dalle Bande Nere e al più famoso Maestro Italiano del rinascimento, il bolognese Achille Marozzo . Nel 1509, probabilmente sempre ad Urbino, città nella quale risiedeva come maestro d'armi del Duca, scriveva il suo trattato il maestro spagnolo chiamato Pietro Moncio, altrimenti detto Monte o Monti, e che fu elogiato dal Castiglione nel " Cortegiano " quale perfetto gentiluomo. Di tale trattato, a lungo creduto perduto e ricercato da molti bibliofili e studiosi di scherma del passato, sono riemerse negli ultimi anni diverse copie.
Allievo del bolognese Di Luca fu anche appunto Achille Marozzo, che insegnò scherma a Bologna e scrisse un trattato, l' " Opera Nova ", che sarebbe stato ristampato numerose volte nel corso del XVI secolo e sarebbe diventato il simbolo della Scuola Italiana del primo Cinquecento.
La struttura del trattato di Marozzo, la cui edizione più famosa resta quella di Modena del 1536, è in breve la seguente:
Tutte le tecniche insegnate sono notevolmente raffinate e precise, le difese e le risposte puntuali e immediate, gli attacchi prudenti e ben calcolati, tenendo sempre presente che lo scopo principale dell'azione non è ferire l'avversario ma uscirne indenni.
Il gioco di gambe è spesso laterale o circolare, ben diverso da quello della scherma attuale, e adatto soprattutto al combattimento con un'arma in ogni mano. Le basi delle tecniche sono la "parata e risposta" e il "mezzo tempo", ancora oggi base della scherma, ma anche il "tempo insieme", che consiste nell'attaccare l'avversario con la spada nello stesso momento in cui si para il suo colpo con lo scudo, il pugnale o la cappa, concetto che oggi ovviamente ha perso importanza nella scherma sportiva, essendo stata abbandonata la scherma con due armi.
Nell'attaccare, e questa è la maggior raffinatezza di questo gioco, si presuppone sempre che l'avversario reagisca al meglio, parando e rispondendo subito, e l'attacco prevede sempre come sfuggire alla risposta dell'avversario e sfruttarla per ferirlo.
Circa nello stesso periodo scriveva anche il bolognese Antonio Manciolino, componendo un'opera di scherma altrettanto valida e, curiosamente, con lo stesso titolo. Il trattato di Antonio Manciolino, del 1531, è in generale abbastanza simile, anche se manca della parte sulle regole del duello, e infatti l'autore pensa che questa materia non sia di competenza del maestro di scherma ma del giurista o del filosofo e anche l' insegnamento dello spadone a due mani è del tutto assente.
Nel Rinascimento ormai la supremazia della scherma italiana in Europa è un dato di fatto assodato. Nel contesto del trionfo delle sale d'arme italiane a livello continentale, la Scuola Bolognese costituisce la scuola più importante e prestigiosa d'Italia, ma anche, per quanto riguarda la seconda metà del secolo, la più ancorata alla tradizione e la più conservatrice.
La generazione di maestri e trattatisti nata dalla scuola di Achille Marozzo continua nell'insegnamento della spada da lato civile-militare, anche se viene ormai trascurato l'insegnamento dei vari tipi di scudo, ormai non più attuali, per privilegiare la spada sola (Angelo Viggiani, o alla bolognese Vizani) o anche la spada accompagnata dalla daga o dalla cappa (Giovanni Dalle Agocchie). Nello stesso periodo altri trattatisti e altre scuole della penisola criticano il gioco misto di punta e di taglio, limitandosi agli attacchi di punta e adottando la striscia, una spada più lunga e sottile, agile ma poco adatta ai colpi di taglio. Nello stesso tempo si cerca di razionalizzare il sistema di guardie che la Scuola Bolognese aveva ereditato dalla tradizione dei secoli precedenti, riducendone il numero e denominandole solo con numeri o per la posizione della spada nello spazio, invece che perpetuare gli antichi nomi che fanno riferimento a cinghiali, alicorni, porte di ferro ecc. Si assiste ad un fiorire di scuole e ad un proliferare di trattati. Bisogna considerare che in questo periodo ormai l'uso bellico della spada è diventato trascurabile, e le armi da battaglia sono l'archibugio e la picca lunga. La spada quindi è riservata esclusivamente al duello e alla difesa personale in strada, e la scherma insegnata nelle sale d'arme si specializza solo su questo tipo di scontro, perdendo gradualmente la conoscenza di tecniche (colpi e parate di taglio), armi (i vari tipi di scudo) e situazioni (combattimento a cavallo o contro cavalieri, contro armi d'asta ecc.).
In quest'epoca, quindi, l'evoluzione della scherma si gioca tutta in Italia, e il resto del continente accorre per apprendere dai maestri della penisola come si combatte con la spada, e non solo con la spada. Nel Cinquecento, per dare la misura del fenomeno, il trattato di scherma più importante scritto in Germania, quello del Meyer, è un'opera di divulgazione della scherma italiana, e addirittura alcuni autori ritengono che Meyer fosse un allievo di Marozzo.
In Inghilterra nel XVI secolo vengono stampati solo tre trattati di scherma, dei quali il primo è la traduzione di quello del modenese Giacomo Di Grassi, il secondo fu scritto direttamente in inglese dal maestro italiano Saviolo, che era andato a insegnare in quel paese, e il terzo è una vibrante protesta del maestro inglese George Silver contro il predominio dei maestri italiani in Inghilterra.
In Francia troviamo solo il trattato del signore di Sainct-Didier, molto chiaro ma molto semplice, anche questo in polemica con la scuola italiana, della quale peraltro costituisce solo un riassunto elementare e divulgativo, che viene spacciato per scherma autoctona francese. Sempre in Francia troviamo ancora nel XVII secolo una prova della vitalità della vecchia Scuola Bolognese, con la dinastia dei Cavalcabò. Questa famiglia, che conta tra i suoi membri lo stampatore del trattato di Angelo Viggiani, il bolognese Zacharia Cavalcabò, ebbe due dei suoi membri insigniti a Parigi del titolo di maestro di scherma del Re, prima Geronimo, del cui trattato di scherma apparve nel 1609 una traduzione francese, poi suo figlio Cesare, che fu l'ultimo maestro d'armi straniero chiamato alla corte di Francia."
Nel secolo XVII alla scuola italiana, basata soprattutto sul gioco di spada sola e di spada e daga, si affianca la scuola spagnola, che si concentra sulla spada sola, con un periodo di splendore di circa un secolo, dopodiché continuerà a sopravvivere per qualche tempo solo nella penisola iberica.
Nel corso del XVII secolo anche l'uso della spada per difesa personale in strada viene ad avere sempre meno importanza, e verso la fine del secolo la lunga striscia da accompagnare alla daga comincia ad essere vista come troppo ingombrante e vistosa per far parte dell'abbigliamento di un gentiluomo.
L'uso marziale della spada viene ad essere sempre più confinato al duello tra nobili con regole codificate e prestabilite. Vi è quindi l'apparizione, dapprima più che altro come accessorio d'abbigliamento, di uno spadino adatto esclusivamente a colpire di punta, e ben più corto della striscia.
Nel secolo XVIII la scuola francese si specializza su di un gioco esclusivamente di punta, che rifugge dall'uso di armi secondarie come la daga, un gioco adatto al corto spadino che ormai tutta la nobiltà porta al fianco. La scuola francese risulta gradita alla nobiltà del tempo, e la scuola italiana entra alla fine in crisi. I francesi riescono gradualmente ad imporre l'idea che sia scorretto utilizzare la daga o il pugnale in ausilio alla spada, e proibiscono addirittura, in duello, di toccare l'avversario con la mano sinistra per colpirlo o sbilanciarlo, come si era sempre fatto fino a quel momento. La scherma diventa quindi sempre più astratta, sempre più appannaggio esclusivo dei nobili, in sostanza, sempre più lontana da una vera preparazione ad un combattimento reale e senza regole per la sopravvivenza.
Accade così che quando, dalla fine del Settecento fino a tutto l'Ottocento, si ritorna ad usare l'arma bianca in guerra, soprattutto a cavallo, l'insegnamento schermistico delle sale d'armi risulta inadeguato alla realtà del combattimento in battaglia. Si pone il problema di dove si possa apprendere a combattere usando lame da taglio quali le sciabole di cavalleria, e si ricorre a popoli ai margini dell' Europa come gli scozzesi o gli ungheresi, che avevano conservato questa tradizione. Tuttavia, si comincia poi ben presto a ricercare un gioco più scientifico e raffinato anche per la sciabola, un metodo che non metta a repentaglio la vita dello schermitore inducendolo a scoprirsi inutilmente. E i ricercatori che si muovono in questo senso, come il già citato esploratore, scrittore e maestro d'armi Sir Richard Burton, non possono che andare a cercare negli scritti della Scuola Italiana, e in particolare nel trattato di Achille Marozzo, suggerimenti per sviluppare un nuovo gioco misto di punta e taglio, che resista alla prova del fuoco di un combattimento senza regole e senza pietà. La Francia, l'Ungheria e soprattutto l'Italia si rivelano presto nazioni che sviluppano una grande tradizione della scherma di sciabola. Ben presto, tuttavia, la parentesi dell'uso della sciabola in battaglia si chiude, e riprende il cammino della scherma occidentale verso una sempre maggior astrattezza. Sopravvive per un certo periodo la pratica del duello codificato, anche all' ultimo sangue ma con precise regole e limitazioni.
A questo proposito va fatto notare che, come si evince per esempio da quanto ci riferisce J. Gelli nel suo libro sui duelli mortali dell'Ottocento, la maggior parte dei duelli di sciabola si chiudevano con una ferita inabilitante, spesso alla mano, mentre i duelli di spada, basati sui colpi solo di punta di scuola francese, causavano spesso la morte di uno dei duellanti, e a volte di entrambi. Quando poi si diffuse la pratica del duello alla pistola il numero dei morti aumentò a dismisura. In questo secolo si è infine arrivati a limitare la scherma nei confini di uno sport affascinante ma basato su regole astratte e lontano dalla cruda realtà del combattimento, per cui vengono ammessi colpi che non sarebbero possibili con un'arma vera (tipico esempio sono quelli che "toccano" per il solo fatto di sfruttare la flessibilità dell'attrezzo sportivo), viene ammesso solo un gioco in linea, non si può uscire dalla pedana, non si può portare avanti il piede sinistro, il bersaglio è limitato ad alcune zone del corpo, ecc."